"È un problema non solo per chi si trova ristretto e non riesce a ottenere una misura meno afflittiva, ma anche per le donne che dal braccialetto dovrebbero essere tutelate..." A parlare è Silvia Lorenzino, una delle avvocate di parte civile nel processo per il femminicidio di Roua Dani, mamma di 37 anni uccisa a Torino dal marito, che doveva essere agli arresti domiciliari con il braccialetto elettronico. Lo scorso settembre, il dispositivo che avrebbe dovuto allertare vittima e forze dell’ordine non ha funzionato: la batteria era scarica. L’uomo è stato così libero di uscire e di raggiungere l'appartamento della moglie. Di fatto, nessuno ha potuto monitorare i suoi spostamenti. Quello che doveva essere uno strumento utile sia per evitare il carcere all’indagato, sia per garantire sicurezza alla vittima, si è rivelato inefficace.